sabato 16 aprile 2011

Stay Human

Stay Human. Restiamo umani.
Questa era la firma che Vik, pseudonimo di Vittorio Arrigoni, metteva alla fine di ogni post scritto per il suo blog, “Guerrilla radio”. Una firma, ma ancora di più un incoraggiamento, un esortazione, per se stesso, per i palestinesi, per il mondo. Restiamo umani di fronte all’arroganza israeliana, restiamo umani di fronte alle bombe sulla striscia di Gaza, restiamo umani di fronte alle sofferenze di un popolo che da più di 60 anni non ha più una patria, eterno esule sulla propria terra; perché ufficialmente, oggi la Palestina è un territorio talmente piccolo che un sasso tirato da una delle sue frontiere cade sulla frontiera opposta.
Tuttavia vi è un legame fortissimo tra i palestinesi e la terra, oggi ancora tragicamente divisi; i palestinesi però non si sono dimenticati della loro terra, come la terra non si è dimenticata dei contadini palestinesi che la aravano; entrambi aspettano solo il momento per potersi riunire.
Questo è un passo tratto dal libro Cristo con il fucile in spalla, del giornalista polacco Kapuscinski:
"Un milione di palestinesi ha dovuto abbandonare la propria patria. Nei pressi di Amman c’è un campo profughi in cui vivono cinquantamila palestinesi. (…)
Uno dei fedayin dice che per i palestinesi la terra è tutto. Sono diversi dai loro fratelli beduini che vagano per il deserto, dai fratelli di città attaccati alle loro botteghe e dai fellah delle oasi che lavorano la terra dei padroni. Ogni palestinese aveva il suo pezzo di terra, la sua casa e il suo orto: lì nasceva, lì lavorava e lì viveva. Ogni palestinese era un contadino libero, signore e padrone del suo terreno. <<Oggi non abbiamo più niente. Cioè: ce l’abbiamo e non ce l’abbiamo, dato che quella casa, quei campi e quell’orto esistono ancora e noi dovremo tornarci. Mio padre dice: ‘Ahmed, è tempo di seminare il grano, oggi è giornata buona per la semina’. E se ne resta tutto il giorno seduto davanti alla capanna del campo profughi perché non ha né il grano né il campo, che adesso sta al di là della frontiera>>.
Ecco ora un passaggio dei discorsi di Melibeo nella I Egloga de le Bucoliche di Virgilio:
(vv. 1-5) “Titiro, riposando all’ombra d’un ampio faggio, studi su un esile flauto una canzone silvestre; noi lasciamo le terre della patria e i dolci campi, fuggiamo la patria: tu, o Titiro, placido nell’ombra, fai risuonare le selve del nome della bella Amarilli.”
(vv. 64-73) “Noi invece di qui andremo tra gli Africani assetati, parte verremo alla Scizia e parte all’Oassi turbinoso d’argilla, e agli estremi Britanni esclusi da tutto il mondo. Giammai fra lungo tempo rivedendo la terra dei padri, e il tetto del povero tugurio elevato con zolle d’erba – era il mio regno – potrò ammirare le spighe? Un empio soldato possiederà maggesi così coltivati? Un barbaro queste messi? Ecco dove la discordia ha trascinato gli sventurati cittadini; per costoro seminavamo i campi.”
“Un empio soldato possiederà maggesi così coltivati?” “Per costoro seminavamo i campi.” Chissà quanti tra i palestinesi hanno citato Virgilio senza saperlo, per il semplice motivo di avere un destino uguale a quello del misero Melibeo.
Storie di profughi, storie di esuli. Poi c’è chi le vuole raccontare queste storie, e per questo viene brutalmente ammazzato. Vittorio Arrigoni si aggiunge alla lunga lista di giornalisti che per comunicare un messaggio, per raccontare una fatto, per sostenere un ideale hanno perso la vita. Lui, pacifista, che non credeva nei confini e nelle frontiere, che era partecipe delle sofferenze palestinesi ma che non credeva nella rivolta violenta, è stato ucciso. Vittorio non era un soldato, non era un fondamentalista islamico o un fedayin, era un giornalista. Morire non era il suo mestiere. Il suo mestiere era raccontare la guerra, non farla. Ma è morto, perché la sue idee, le sue parole, le sue azioni facevano paura.
Vittorio non è solamente un'altra vittima di fondamentalisti islamici. Vittorio è morto perché ha cercato di far luce su un problema che oggi è più che mai presente, anche se giriamo la testa: quello isrealo-palestinese. I palestinesi non hanno nulla in meno dei ribelli libici: sono vittime di una guerra, sono sottomessi da una potenza più grande di loro, sono profughi. Ma rispetto alla Libia ci sono in ballo interessi politici e militari maggiori, e soprattutto ci sono interessi economici minori. E la realtà ci insegna che la democrazia si esporta solo dove si può prendere qualcosa in cambio.
Nonostante tutto “bisogna restare umani”. Indignati sì, ma umani.
E allora, stay human.

Alessandro

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